La Donna e il Teatro nei Millenni:da sacra protagonista a grande esclusa. Parte prima: dal matriarcato alla guerra di Troia

Di Nicoletta Frullano

Il rapporto della donna con il teatro riflette inevitabilmente il modo in cui ella viene percepita dalla società e, ben più profondamente, dal potere occulto che di essa ne tira le fila dietro le quinte, oltre l’apparenza.

Secondo la storiografia ufficiale, il teatro nasce in Grecia nel V secolo a.c. con tragedie in cui agiscono spesso figure femminili di altissimo livello etico… che però sul palcoscenico venivano interpretate esclusivamente da attori uomini! 

Le donne, infatti, non potevano recitare e forse nemmeno assistere a tali rappresentazioni, perché la società patriarcale greca considerava la donna un mero possesso dell’uomo, senza diritti e “reclusa” nel gineceo ad accudire figli, focolare e tessitura.  Una visione purtroppo ancora presente in alcune società contemporanee

Tuttavia, proprio dalla potenza di questi personaggi femminili emerge un paradosso: la donna, che nella vita quotidiana viene soppressa, qui si erge al di sopra del potere maschile sfidandolo per rispettare la propria scala di valori, consapevole delle conseguenze.  Esemplare la tragedia di Sofocle “Antigone”, che vedremo nelle prossime puntate.


Antigone (dettaglio del dipinto) di Frederic Leighton, 1882

Se dunque nel teatro greco la donna non può salire sul palcoscenico, è pur vero tuttavia che lo spirito del Femminino Sacro riesce ad emergere lo stesso, manifestandosi attraverso il corpo dell’attore uomo, come raggi di sole che forano una fitta coltre di buie nuvole.  Buie nuvole che cominciarono ad addensarsi all’orizzonte tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro (2000 a,c.) quando dalle steppe del Nord migrarono, forse per cambiamenti climatici, dei popoli dagli occhi azzurri e i capelli biondi come Achille: gli Achei e i Dori. Di natura bellicosa e maschilista, adoravano gli Dei Olimpici al cui vertice stava Zeus, signore della folgore, della tempesta e della guerra. In un primo tempo si stanziarono relativamente in pace nelle regioni settentrionali del Peloponneso, poi nelle isole, tra cui Creta, e infine fondarono Sparta. 

La tremenda esplosione del vulcano Santorini provocò nel 1560 a.c. un cataclisma dopo il quale nulla sarebbe più stato lo stesso: con la potenza di una bomba atomica vaporizzò molte rocce dell’isola di Creta, subito sommersa in buona parte dal conseguente tzunami che rese i campi sterili, mentre le nubi oscurarono il cielo per mesi arrivando fino in Cina, come riportato dalle cronache cinesi.

Creta, la florida dominatrice dei mari, fondata sul matriarcato e sul culto degli antichi Dei Titani e delle grandi Dee Madritra cui Demetra e la figlia Persefone, era stata una potenza che non aveva avuto bisogno di erigere possenti mure di cinta per vivere tranquilla, indizio significativo che il matriarcato esprimeva non solo le qualità femminili per eccellenza: dolcezza, accoglienza, sacralità della vita e della natura, morbidezza materna, ma anche autorevolezza, forza edeterminazione.

Oggi abbiamo il privilegio di incontrare la grande Dea Titana Demetra grazie alla ricercatrice Fiorella Rustici, che nel suo libro “Io sono il padre, il Figlio e lo Spirito Santo” riporta l’esperienza da lei vissuta con la Grande Madre dal sacro fuoco stellare.

L’esplosione del vulcano Santorini generò un rapido e irreversibile declino, un vuoto di potere di cui approfittarono i nuovi arrivati che riuscirono a occupare tutta la Grecia, ma non ancora la costa meridionale, dove Troia resisteva ad un assedio ben più lungo dei 10 anni cantati nell’Iliade.

Il culmine della conquista avvenne nel 1184 a.c con la Guerra di Troia, madre di tutte le battaglie, in cui venne spazzata via l’ultima roccaforte della grandiosa civiltà matriarcale minoica cretese. 

La Guerra di Troia non fu una guerra di controllo territoriale, mossa da interessi economici e di potere sulle rotte commerciali dei Dardanelli, come comunemente si ritiene. Lo storico Nicola Bizzi infatti sottolinea come, dopo esser stata distrutta, essa venne del tutto abbandonata dai vincitori, chedopo aver pagato enormi costi umani ed economici per conquistarla, semplicemente si ritirarono dal territorio occupato senza sfruttarne il suo grande valore.

Non fu nemmeno una guerra di vendetta per recuperare la regina spartana Elena dalle grinfie dei rapitori troiani … “Io la rivoglio solo per poterla uccidere con le mie mani!” confessa fremendo il marito Menelao al fratello Agamennone, nello sgangherato film hollywoodiano Troy, che qui però centra il bersaglio: Elena fu solo il “casus Belli”, il pretesto per giustificare l’aggressione, niente altro.

Il poema omerico Iiade canta questa guerra come un resoconto oggettivo, dove la visione del mondo è già totalmente maschile, incentrata sull’onore guerriero. Le donne non hanno più dignità, né voce in merito né alcuna possibilità di interagire. Sono diventate solo degli oggetti: Ifigenia è ridotta a bestia sacrificale, necessaria per la riuscita della spedizione maschile; Briseide e Criseide a bottini di guerra, oggetti di scambio. Anche quelle che si elevano per talento come Cassandra vengono ignorate: la sua profezia che avrebbe salvato il popolo troiano rimane inascoltata, e il cavallo di legno viene fatto entrare in città… 

La Guerra di Troia fu dunque una vera e propria guerra religiosa, di scontro tra visioni del mondo antitetiche e incompatibili, che non potevano coesistere: il patriarcato, maschilista e belligerante contro il matriarcato, quella “concezione politica, sociale e spirituale del Femminino Sacro che aveva pervaso per interi millenni l’occidente” (1).

I conquistatori assimilarono gli stili artistici e architettonici dalla società minoica sconfitta ma imposero la loro lingua, la religione olimpica e la loro struttura sociale patriarcale. Nacque così la società micenea, che collasserà poi rapidamente nella tarda età del bronzo, quando tutto il Mediterraneo subirà uno dei vari, terrificanti BIG RESETperiodici.

E, infine, la Guerra di Troia generò anche il mito fondante di Roma con il principe troiano Enea che, sfuggito al massacro, riuscì ad approdare sulle sponde laziali dove, grazie al matrimonio con la figlia del re latino, divenne re e progenitore dei gemelli Romolo e Remo.

Alla luce di questi eventi, il fatto che la storiografia “ufficiale” identifichi la nascita del teatro proprio nella Grecia del V secolo a.c. secondo me ha dunque tutto il sapore di una istituzionalizzazione del patriarcato, ormai consolidato da circa 700 anni. E’ uno spartiacque tra la recente società patriarcale guerriera e le precedenti civiltà millenarie matriarcali, condannate all’oblio. Del resto, la storia la scrivono sempre i vincitori.

Nelle antiche civiltà preistoriche, infatti, la divinità era femminile, identificata con la Madre Terra e le grandi Dee Madri provenienti dalle stelle, che avevano in più ibridazioni successive creato l’essere umano. Divinità femminili abitavano in ogni aspetto della natura, come testimoniano toponimi, usanze e tradizioni, ed erano le protagoniste dei riti,vere rappresentazioni teatrali con danza, canto e poesia. Nati nella notte dei tempi, i riti esprimevano l’anelito verso il divino in ere in cui non vi era alcuna differenza tra sacro e profano perché tutto era divino, ogni singolo aspetto della vita e della natura. 

Dal paleolitico medio (120.000/40.000 anni fa) fino agli ultimi millenni prima di Cristo, in tutto il Mediterraneo, dalla Siberia all’Asia fino alla Cina e al Giappone e nel continente sud-americano, cioè praticamente in tutte le terre emerse,sono state ritrovate infinite varianti dello stesso tipo di statuette che rappresentano corpi femminili molto floridi,simboli del culto della Dea Madre che dà la vita, del Femminino sacro. A contrasto mancano quasi del tutto le equivalenti statuette maschili, almeno fino alla cultura ellenica. E anche quella, famosissima, denominata “lo Sciamano Leone di Hohlenstein”, forgiata in avorio di mammut – un uomo dalla testa di leone ritto sulle zampe anteriori, alta circa 30 centimetri e datata 40.000 anni fa – in realtà, secondo lo storico Nicola Bizzi sarebbe una Leonessa…

Donne sacerdotesse, guaritrici, raccoglitrici di erbe per l’alimentazione e per la cura delle persone, inventrici, artigiane, depositarie della memoria e delle tradizioni, chegovernavano e crescevano collettivamente i bambini, vissuti come figli da parte di tutta la società.

Donne custodi del prezioso fuoco, che ritroveremo millenni dopo a Roma nel sacro ruolo di sacerdotesse Vestali…

Quel fuoco, sia nella forma più materica quale elemento indispensabile per la sopravvivenza fisica, sia nella sua essenza stellare di Vita e Conoscenza, che il Titano Prometeo aveva donato all’umanità sfidando gli Dèi Olimpici e per il quale venne condannato da Zeus a un supplizio infinito.

Consapevoli della nostra ignoranza sulla storia del pianeta e sull’avvicendarsi di molte civiltà a noi quasi sconosciute, nelle prossime puntate rievocheremo alcuni miti dellacreazione dell’essere umano, la sua domesticazione e come tutto ciò si è espresso anche nel rapporto della donna col teatro, da quello greco fino ad oggi.

A presto!

1) Ringrazio lo storico Nicola Bizzi per l’appassionato lavoro di ricerca, a cui ho attinto per questo articolo.

NICOLETTA FRULLANO Attrice, sceneggiatrice, insegnante e BLOGGER DI REBIS

 

Pubblicato da Redazione Rebis

Membro gruppo esperti e gruppo redazione di Rebis.

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