Non sapevo neanche di avere un’anima, immerso com’ero nella quotidiana fatica di “vivere”.
Correre.
Correre pensando che quella fosse la tua forza.
Mai un dubbio, un ripensamento.
Correre veloce ti fa forte e vincente.
Vedi immagini di te diventato un tronco scuro, carbonizzato dall’uso continuo e secolare
da una fucina che produce dolore. Lo ignori.
“Non sono io.
Niente di più lontano da me.
Non sono l’unico ad essere così”.
Chi mi ha preceduto ha avuto lo stesso talento.
Io rappresento l’ultimo rampollo di una schiera di corridori che ha ricevuto il testimone di una staffetta fatta da uomini che corrono tutta la vita, in una corsia stretta e unica che non consente di cambiare direzione.
Un animale cieco ma veloce che non deve chiedersi perché, ma pensare solo a correre.
È questo che conta! È questa la vita!
A un certo punto, però, tutto diventa pesante.
Le lunghe falcate delle gambe forti e tornite si accorciano.
Rallento!
Rallenta anche il tempo e mi concedo di chiedermi: “Dove sto andando?”
Le gambe vanno ancora ma lo sguardo comincia a scrutare il cosmo intorno.
Rallento.
Domando: “Che sto facendo? E perché? Per chi?”
Chi mi ha preceduto mi ha dato il testimone urlando: “Figliolo, corriiii”.
E senza pensarci l’ho fatto. Ho seguito la mia stirpe di “corridori”.
Dimostrerò loro di essere degno del mio rango e della loro fiducia, di essere uno di loro!
Adesso però qualcosa è cambiato.
Rallento tanto da poter girare lo sguardo indietro a guardare la mia potente stirpe.
Ne vedo solo alcuni, gli ultimi tre, stanchi ed esausti, senza fiato e senza vita!
Corpi che dalla fatica sono chini su loro stessi. Statue di sabbia di cui vedo il primo ancora intero, il secondo già senza testa, il terzo ha solo le gambe.
Dopo di loro vedo mucchietti di sabbia che diventano sempre più piccoli man mano che lo sguardo va indietro fino a non vederne più.
Il vento li ha spazzati via completamente.
La pista è deserta.
Acqua gelida sul cuore che mi sveglia e sconvolge! Che succede?
Quella è la mia stirpe? Quello è il mio destino? Quello è il premio per il mio correre?
Rallento…
Mi fermo…
Mi giro.
Dietro di me non vedo più nessuno, nessuno che sia sopravvissuto.
Sono solo. Intorno a me sabbia e deserto. Sono vivo solo io.
E se non mi fossi fermato?
Guardo in alto.
Volti sorridenti e illuminati dalla luce dell’amore mi guardano teneramente.
Si abbracciano e volano via, liberi dalla loro punizione. Piango del mio e del loro dolore.
La loro pena è finita e la mia anche!
Esco dalla pista, e sorrido!
Siamo anime…anch’io!
lorenzo ferrante.
Lorenzo Ferrante
Blogger del Gruppo Rebis