Il sentiero obbligato di Vita e Morte può insegnarci qualcosa

Che cosa ha veramente importanza per noi?

Tutta la vita abbiamo corso come cavalli o cani da corsa per raggiungere qualcosa che poi non ci interessa neppure, ma che è stato posto lì davanti da coloro che ci hanno indotti a farlo, indottrinandoci.

Esattamente come i cavalli e i cani non corrono perché lo vogliono e lo abbiano deciso, ma perché sono stati addestrati.

Alla fine della corsa, chi gioisce sono gli allevatori, i proprietari, i fantini, gli scommettitori, ma chi ha corso per tutto il tempo non ha guadagnato nulla, anzi ha ulteriormente perso la propria libertà di stare in natura e, anche, la propria dignità.

Adesso è arrivata la Morte Rossa, come nel racconto di Edgar Allan Poe, e ci ha fermato tutti.

Non possiamo più correre, né strafare, e allora ci guardiamo in faccia e ci confrontiamo con noi stessi.

Usiamo gli strumenti di connessione elettronica, e questo è perfetto per aiutarci a vicenda, sostenerci, tenerci compagnia, scambiarci informazioni, sapere che cosa sta succedendo. Ma… li stiamo anche utilizzando per fare quello che facevamo prima, correre, correre, correre…

Va tutto bene, i consigli degli esperti, le classi on line, il fitness insegnato a distanza, l’affetto condiviso attraverso le teleconferenze, le riunioni di lavoro fatte in video. Tutto aiuta ad andare avanti. Ma… sta emergendo il nostro lato fragile, stiamo sbarellando, le nostre reazioni rivelano che abbiamo paura e siamo stressati.

Si dirà che è normale: vediamo ammalarsi le persone intorno a noi, e molte anche morire…

Il dolore è naturale, intendiamoci, ma non stiamo più di tanto cogliendo l’occasione per affrontare l’unica cosa della quale possiamo stare certi, che presto o tardi arriverà: la nostra Morte.

La scrivo in maiuscolo, questa parola, perché paradossalmente è una delle maestre più ignorate della nostra storia personale e collettiva, anche se è l’unica che ognuno di noi si ritrova per forza. Possiamo non essere cristiani, o buddisti, non praticare alcuna disciplina orientale né forma di meditazione, non seguire gli insegnamenti di nessuno, neppure quelli dei nostri cari. Possiamo aver ignorato le istruzioni e i consigli dei nostri docenti delle scuole o dell’università, fregarcene dei sacerdoti, dei lama, dei sufi, degli imam e dei rabbini. E persino dei filosofi.

Ma non possiamo ignorare Lei e il fatto che percorriamo tutti una strada a senso unico e con un unico risultato.

Possiamo fare ancora finta di niente contando sull’arte che perpetua i nostri messaggi e conoscenze, e ancora guardare con (sacrosanta!) soddisfazione i nostri figli e nipoti, nostra discendenza e quindi forma di “immortalità”.

Possiamo lasciare segni nel mondo sotto forma di opere, donazioni, ricordi, azioni giuste e corrette, amore per tutti coloro a cui siamo riusciti a donarlo. Tutto questo va non bene, va benissimo, solo che non risolve il problema dei problemi. Abbiamo paura, o se non l’abbiamo accettiamo con serenità (che a volte nasconde la rassegnazione) il nostro destino mortale.

Facciamo gli scongiuri, o decidiamo di costruirci un nostro, privato affresco (rassicurante?) di che cosa la Morte sia. Andiamo in cielo? O da nessuna parte? Il blu dipinto di blu? Passiamo dal Purgatorio? L’Inferno è vuoto oppure no? E il Paradiso ci accoglierà? Magari ci reincarniamo e si comincia daccapo da un’altra parte… Torniamo al Padre? Finiamo per ricongiungerci alle stelle, alla Terra, atomi tra gli atomi?

A volte non sappiamo, o facciamo finta di non sapere, che da millenni le scuole di pensiero evolutive non solo si interrogano, ma lavorano sul Mistero della Morte così da renderla se non proprio amica (sarà mai possibile?) un po’ meno dolorosa, più conosciuta, e se non per rassicurarci come razza se non altro per rafforzarci.

Mistero deriva dal greco myein, chiudere. Mistero è ciò che è chiuso. Bene, ma al di là di quella porta serrata, che cosa si trova? Perché qualcosa c’è.

Sarà un caso che gli Egiziani abbiano scritto il loro Libro dei Morti per aiutare l’anima nel trapasso? E che lo stesso abbiano fatto i Tibetani? In estremo Oriente ci si prepara, in certi gruppi, tutta la Vita a trapassare quando sarà il Momento. Perché nel modo in cui si vive, nello stesso modo si muore. How you do Anything, is how you do Everything: come fai una cosa, così le fai tutte.

Non si tratta di pentirsi perché la fine del mondo è vicina, né di chiedere perdono a Dio. Non è questo. La Vita va vissuta, goduta, costruita, condivisa con gli altri, messa al servizio degli altri, usata per costruire affetti, cose belle, famiglie, aziende, stati, opere che restino… ma anche per capire come si fa a morire. Non è per tutti, e nessuno è obbligato a farlo, però è possibile.

Centinaia di scuole misteriche lo hanno fatto, si sono impegnate a rendere più accessibili le conoscenze sul mistero dei misteri. Migliaia di persone hanno vissuto esperienze di pre-morte dalle quali sono uscite cambiate, e hanno cominciato a raccontare quello che hanno visto: chi ha guardato la Nera Signora in faccia torna diverso, chi ha intravisto il tunnel di luce e guardato scorrere davanti ai propri occhi spirituali tutto il proprio passato non è più capace di far finta di niente. Non di rado si impegna a cambiare la propria vita, racconta a noi addormentati rimasti di qua quello che ha visto, capisce di non essere il proprio corpo fisico, che qualcosa di là si nasconde.

Lottiamo tanto e ci impegniamo ancora di più per ottenere tutto quello che ci interessa, affetti, una casa, soldi, il lavoro, i traguardi, l’aiuto… o per donare ciò che riteniamo giusto donare. Ma ci chiudiamo nel nostro mutismo quando si parla di morte o Lei si avvicina.

Voglio provocare apposta scrivendola in maiuscolo, perché, lo ripeto, è l’unica maestra dalla quale non possiamo fuggire.

Facciamo tesoro delle scuole misteriche, filosofiche, religiose orientali e occidentali che hanno sviluppato conoscenze teoriche e applicate per aiutarci a conoscere meglio noi stessi in Vita! Ascoltiamo chi ha qualcosa da raccontarci sull’esperienza che nessuno (o quasi) vorrebbe provare, e che invece proveremo tutti…

Lasciamo esprimere la Sete più grande mai esistita, quella di sapere quale esperienza ci aspetta una volta lasciato il corpo fisico. È una sete che ci lega alle nostre Origini, fa intuire come non sia possibile avere un unico pianeta abitato in un universo tanto grande e suggerisce che le dimensioni umane sono molto più numerose di quella da noi osservata tutti i giorni, lineare e sempre uguale, prevedibile, di nascita, crescita, evoluzione, declino e fine. Nasciamo in una dimensione e contemporaneamente moriamo in un’altra ad essa opposta, decliniamo da una parte per crescere altrove. E sono tutte dimensioni legate!

Perché alcuni saggi dicono che la Vita è un continuo esercizio per imparare a morire? Perché come viviamo, così moriamo. Proprio nello stesso modo in cui, “come pensiamo, così parliamo”. La nostra morte è lo specchio di come è stata la nostra vita.

È un paradosso, ma vivere una Vita piena e presente è il modo migliore per affrontare meglio la morte. Apprendere in Vita che cosa significa essere attivi, centrati, produttivi, amorevoli, generosi, è arrivare alla fine ed essere presenti e attivi quando sarà il momento del nostro trapasso.

Lo affronteremo meglio, con meno dolore, senza sensi di colpa o fasi incompiute, e lasceremo discendenti più forti e sereni, aiutando anche la nostra intera razza a non indebolirsi generazione dopo generazione, ma a ereditare la Scala dei Valori che nel frattempo, IN VITA e poi AL MOMENTO DELLA MORTE, avremo costruito.

E questo, indipendentemente dalla dimensione spirituale in cui andremo dopo: una reincarnazione, un cielo etereo o un Nulla di Luce. Avremo comunque messo un tassello in più nella evoluzione nostra e di tutti gli Spiriti impegnati come noi in questo cammino dentro alla Materia che, prima o poi, dobbiamo comunque comprendere e trascendere.

Zvetan Lilov
Blogger Gruppo Rebis

Pubblicato da Redazione Rebis

Membro gruppo esperti e gruppo redazione di Rebis.

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